mercoledì 12 agosto 2015

Perdonare sempre... la parabola del Re misericordioso e del servo malvagio - Mt 18, 21-35 - Meditazioni sul Vangelo di Eugenio Pramotton


 

Mt 18, 21-35
Fin che siamo in questo mondo, fin che siamo in cammino da questo all'altro mondo, la nostra conoscenza è imperfetta, imperfetto il nostro amore e imperfetta la nostra felicità. Questa serie di imperfezioni fa sì che la nostra vita quotidiana sia caratterizzata da reciproche scorrettezze, offese, incomprensioni, indelicatezze e, nei casi più gravi, da rancori, cattiverie, violenze. Inoltre, questi guai, oltre che dall'imperfezione naturale, sono alimentati anche dall'opera del demonio. In questa situazione il tipo di comportamento che spesso vediamo prevalere, è quello di chi risponde all'offesa con l'offesa, alla cattiveria con la cattiveria, alla violenza con la violenza. Se però accettiamo questa logica non otteniamo un miglioramento della convivenza fra gli uomini, ma un crescente peggioramento delle relazioni fino a rendere invivibile la vita nelle famiglie e nella società.
L'atteggiamento da adottare per rimediare a questo stato di cose, l'apostolo Pietro l'aveva capito in parte. Dice infatti a Gesù: Signore, quante volte dovrò perdonare a mio fratello, se pecca contro di me? Fino a sette volte? Pietro aveva capito che dobbiamo disporre il nostro cuore a perdonare coloro che ci offendono. Secondo lui, però, era opportuno stabilire un limite superato il quale sarebbe stato più conveniente cambiare atteggiamento; così, con uno sforzo di generosità prova a chiedere al Signore se perdonare fino a sette volte potrebbe essere una buona regola. Probabilmente la proposta di Pietro rappresenta un certo limite a cui, nei casi migliori, può giungere la natura umana lasciata alle sue forze. Trovare qualcuno disposto a perdonare chi lo offende fino a sette volte, non è poi così male. Ma Gesù è venuto ad offrirci la possibilità di andare decisamente oltre i limiti della natura umana. Risponde infatti Gesù a Pietro: Non ti dico fino a sette, ma fino a settanta volte sette. Perdonare fino a settanta volte sette significa perdonare sempre, ma questo non è possibile alle deboli forze umane. Gesù allora, ci sta forse chiedendo qualcosa di impossibile? Sì... ma se Gesù ci chiede di perdonare sempre, è perché con la sua grazia vuole venire in soccorso alla debolezza delle nostre forze.

A proposito di Pietro, potremmo ancora osservare come sia più che altro preoccupato di trovare una regola per perdonare gli altri; forse non è molto consapevole di quanto abbia bisogno lui di essere perdonato. La notte in cui, nonostante le promesse, per tre volte rinnegherà il Signore, si renderà conto di questa necessità e sperimenterà, in quella stessa notte, quanto è grande la sua miseria e quanto è grande la bontà del Signore. Racconta infatti il Vangelo di Luca che, ad un certo momento della notte, dopo aver dichiarato per tre volte di non conoscere Gesù: Il Signore, voltatosi, lo guardò... e in quello sguardo Pietro comprende, nello stesso tempo, sia la gravità del suo peccato, sia la straordinaria bontà del Signore che gli offre il perdono, ed allora: Uscito, pianse amaramente (Lc 22, 61-62).
La parabola del Re misericordioso e del servo impietoso
Passa poi il Signore a raccontare la storia del re che vuole fare i conti con i suoi servi. In questa storia c'è un servo che nel corso della vita ha accumulato un debito enorme nei confronti del Re suo signore: diecimila talenti equivalgono a circa 300 tonnellate di argento. Questo vuol dire che quel servo non era stato molto saggio nella sua condotta, anzi, piuttosto scriteriato, non gli importava di fare debiti pur di soddisfare i suoi desideri, non accettava una vita modesta, alla portata del suo portafoglio, ma, spinto da un'insaziabile bramosia, continuava a fare debiti, forse illudendosi di riuscire a farla franca. Evidentemente non poteva continuare su quella strada, non poteva continuare a spendere e non guadagnare nulla senza che prima o poi il Re gli chiedesse di restituire quanto gli aveva prestato. Arriva per tutti il giorno in cui si deve rendere conto della propria amministrazione.
È in questo momento che il servo scriteriato viene costretto a riconoscere l'enormità del suo debito, la stoltezza della sua condotta, la sua responsabilità per la situazione disastrosa in cui si trova lui e la sua famiglia; e quando il Re ordina che sia venduto lui con la moglie, con i figli e con quanto possiede per saldare il debito deve ammettere che non gli fa un torto, ma è giusto nella sua richiesta. La situazione del servo è disperata e, sul piano della giustizia, non ha scampo. È a questo punto che decide di fare appello alla misericordia del Re: Allora quel servo, gettatosi a terra, lo supplicava: Signore, abbi pazienza con me e ti restituirò ogni cosa. In seguito a questo appello accade qualcosa di singolare, di straordinariamente sorprendente, ed è che il Re non concede al servo quello che gli sta chiedendo, ma gli concede immensamente di più. Il servo aveva chiesto del tempo per poter restituire il debito, il Re glielo condona interamente: Impietositosi del servo, il padrone lo lasciò andare e gli condonò il debito. E quell'uomo passa dalla disperazione alla liberazione, dall'oppressione al sollievo, dall'angoscia alla pace.
Il servo cattivo manifesta la sua durezza
È a questo punto che avviene un nuovo colpo di scena, questa volta decisamente ripugnante. Colui che aveva ottenuto il condono del debito al di là delle più ottimistiche speranze, si rifiuta di aver pietà di chi, come lui, chiede un po' di pietà e di tempo per restituire quanto deve. La cosa è tanto più grave in quanto il debito del compagno è decisamente inconsistente, mentre lui aveva appena ricevuto il condono di un debito enorme; e come lui, oltre le speranze aveva ottenuto il condono, così avrebbe dovuto aver pietà del compagno e non farlo gettare in prigione finché non avesse restituito quanto doveva.
C'è in tutto questo qualcosa di strano. È strano che chi ha veramente sperimentato la dolcezza della misericordia non sia a sua volta misericordioso. Allora, chi non vuole imparare la lezione della misericordia viene richiamato alla scuola della giustizia: Il padrone fece chiamare quell'uomo e... sdegnato, lo diede in mano agli aguzzini, finché non gli avesse restituito tutto il dovuto. Termina il Signore dicendo: Così anche il mio Padre celeste farà a ciascuno di voi, se non perdonerete di cuore al vostro fratello.
La parabola e noi
Quando il Signore termina noi dobbiamo incominciare, incominciare con il suo aiuto a capire come questa storia riguardi ognuno di noi, quali gli insegnamenti da praticare, quali gli errori da evitare. Penso che potremmo riassumere l'insegnamento di questa storia in questo modo: noi abbiamo nei confronti di Dio un debito enorme, simile ai diecimila talenti del servo malvagio; che il nostro debito sia così enorme non ce ne rendiamo bene conto, il Signore ci chiede allora, con questa parabola, di credere che le cose stanno proprio in questi termini. Ci dice inoltre che Lui è disposto a condonarci tutto se, consapevoli del nostro debito, con umiltà e sincerità faremo appello alla sua misericordia. L'unica cosa che ci chiede è di essere a nostra volta misericordiosi verso coloro che hanno dei debiti verso di noi. Se lo faremo ci farà sperimentare sempre di più la dolcezza della sua misericordia secondo la promessa della beatitudine: Beati i misericordiosi, perché otterranno misericordia (Mt 5,7). Se non lo faremo, se non perdoneremo cioè di cuore ai nostri fratelli, allora il nostro comportamento sarà odioso come lo è stato il comportamento del servo malvagio, e il Signore dovrà sottoporci ai rigori della sua giustizia finché non impareremo a diventare misericordiosi. Dice infatti la parabola: Il padrone, sdegnato, diede il servo malvagio in mano agli aguzzini, finché non gli avesse restituito tutto il dovuto. E il Signore ammonisce: Così anche il Padre celeste farà a ciascuno di voi se non perdonerete di cuore al vostro fratello.
Quando il nostro debito cresce e quando diminuisce?
Proviamo adesso ad approfondire ulteriormente. Potremmo incominciare col porci la domanda: quando il nostro debito nei confronti di Dio cresce e quando diminuisce? Per rispondere conviene esaminare qual è il capitale che Dio ci ha dato in prestito; Dio ha dato ad ognuno di noi prima di tutto l'esistenza, poi una certa intelligenza, del tempo per crescere, i beni della natura e delle manifestazioni del suo amore. A seconda di come utilizziamo questi beni, il nostro debito verso di Lui aumenta o diminuisce.
Se noi spendiamo questo patrimonio al fine di guadagnare o crescere in conoscenza e amore di Dio, allora utilizziamo saggiamente i suoi doni, non facciamo debiti ed otterremo le sue benedizioni. Se al contrario, per colpa nostra, non arriviamo a riconoscere che tutti i beni che abbiamo li abbiamo ricevuti da Lui, e quindi non lo ringraziamo e non li utilizziamo per crescere nella sua conoscenza e nel suo amore, allora il nostro debito non può che aumentare a dismisura, perché è come se spendessimo un capitale datoci in prestito senza guadagnare nulla e, se si continua a spendere senza guadagnare, arriverà il giorno che, per poter vivere, per avere di che sfamarsi, bisognerà fare debiti. La fame, come si sa, può giocare dei brutti scherzi, e in ognuno di noi c'è una grande fame di felicità ma, se finiscono i soldi, come faremo a placare questa fame? Se con i beni che Dio ci ha dato non riusciamo più ad essere contenti perché li abbiamo utilizzati male, o perché scopriamo che non bastano più, dove troveremo quella gioia a cui il nostro cuore aspira?
Il momento critico
È in questo momento che c'è o la possibilità di un ravvedimento oppure la triste possibilità di incrementare ulteriormente il nostro debito. Come infatti vediamo spesso, molti, giunti a questo punto, per trovare un po' di gioia, per non morire di fame, sono disposti a fare debiti pur di acquistare di che sfamarsi, ossia sono disposti a trasgredire gravemente le leggi di Dio per riempire quel vuoto del cuore che niente può colmare se non Dio solo. Assistiamo allora ad una corsa frenetica verso ogni sorta di piacere, di stordimento e di depravazione, nella disperata ricerca di nuove sensazioni, nuove emozioni, nuove soddisfazioni...
Ma il nostro debito nei confronti di Dio può aumentare anche per un'altra ragione. Nel momento in cui ci rendiamo conto che le risorse scarseggiano e non riusciamo più a soddisfare il bisogno di felicità a cui tende il nostro cuore, anche se non trasgrediamo gravemente la legge di Dio, se lasciamo prevalere in noi una certa rassegnazione, se ci lasciamo vincere dalla noia e dal disgusto, allora non rendiamo a Dio quello che Lui si aspetta da noi, perché Lui si aspetta che noi diventiamo buoni, sapienti, viventi, in cammino verso la vera felicità; deludere Dio nelle sue aspettative non è un debito di poco conto.
Allora, lungo il corso della nostra esistenza, in vari modi, a certe scadenze che Lui solo conosce, Dio ci rende consapevoli del molto che gli dobbiamo, della stoltezza della nostra condotta, della nostra responsabilità per la situazione infelice nella quale ci troviamo. In questi momenti dobbiamo riconoscere che Dio avrebbe tutte le ragioni per trattarci severamente; inoltre, la considerazione che questa condotta scriteriata ha avuto ripercussioni anche sulle persone che ci sono vicine, rende la situazione ancora più grave. Il padrone ordina infatti che il servo malvagio venga venduto con la moglie, i figli e con quanto possiede, per saldare il debito.
Apparente ingiustizia
L'aspetto apparentemente ingiusto della decisione del padrone, serve a renderci consapevoli del fatto che comportarsi bene o male, ha un'influenza non indifferente sulla vita delle persone che ci sono più vicine; se faremo il bene, sarà un bene per noi e per le persone che stanno attorno a noi, se faremo il male, ne porteremo le conseguenze noi e quelli che sono a noi più vicini.
Giustizia e Misericordia
Tuttavia, se riconosciamo umilmente i nostri errori, se riconosciamo le ragioni della giustizia divina, se siamo disposti a pagare in qualche modo i nostri debiti, uno spiraglio ci viene aperto, una speranza ci viene suggerita. Il suggerimento è di fare appello alla misericordia di Dio; se lo faremo, come mostra la parabola, verremo esauditi al di là delle nostre più ardite speranze. Infine, quello che il Signore chiede a coloro che hanno ottenuto misericordia, è di essere a loro volta misericordiosi per non assomigliare al servo malvagio e ricadere così sotto il braccio della sua giustizia.
Dio vuole usare misericordia con tutti, vuole perdonare tutti, ma nessuno deve illudersi di poter approfittare di Lui perché è buono e desidera perdonare, vediamo infatti che il servo malvagio viene severamente punito per la sua malvagità: Lo diede in mano agli aguzzini finché non gli avesse restituito tutto il dovuto. E come gli aguzzini tormentano con varie molestie coloro che vengono consegnati nelle loro mani, così, chi non utilizza i doni ricevuti per crescere nell'amore di Dio e dei fratelli, per diventare misericordioso come Lui è misericordioso, verrà sottoposto alla molestia di varie tribolazioni fino a che non si ravveda e si decida a camminare sulla retta via. Questo è ancora misericordia di Dio che tenta in tutti i modi di richiamare coloro che sono lontani da Lui, perché non gode della morte dell`empio, ma vuole che l`empio desista dalla sua condotta e viva (Ez 33, 11).
Questa parabola ci mostra dunque due volti della maestà divina: il volto della giustizia e il volto della misericordia, e tutto accade come se la giustizia divina lavorasse per spingere il peccatore nelle braccia della misericordia. Se rimaniamo sul piano della giustizia non riusciremo mai ad estinguere il debito che abbiamo nei confronti di Dio, ma la presa di coscienza del nostro debito ha lo scopo di orientarci verso la misericordia con un cuore contrito e umile, il cuore che Dio gradisce e desidera riempire con la dolcezza del suo perdono e delle sue benedizioni.
Senza un cuore contrito e umile non può esserci perdono. Chi è stato offeso può avere le migliori intenzioni di perdonare, può manifestarne il desiderio, può ispirare il desiderio del perdono, ma il perdono avverrà soltanto quando chi ha peccato piegherà le ginocchia e con cuore pentito e umile riconoscerà la gravità delle sue mancanze contro l'amore. Questa è soprattutto la nostra situazione nei confronti di Dio, ma ci sono anche i casi in cui gli altri hanno dei debiti nei nostri confronti; quando questo accade il Signore vuole che siamo disposti a perdonare di cuore ai nostri fratelli. Ma anche in questi casi, perché il perdono possa avvenire, ci vuole da una parte un cuore che umilmente riconosca i propri torti e voglia in qualche modo rimediare e, dall'altra, un cuore disposto a perdonare.
Ma quand'è che possiamo dire di avere un cuore disposto a perdonare? Avremo un cuore disposto a perdonare quando riusciremo ad avere uno sguardo di benevolenza verso tutti, anche verso coloro che ci fanno del male, avremo un cuore che sa perdonare quando avremo un cuore che sa amare. Un cuore che sappia amare non si forma in un giorno, ma è come una lenta maturazione, è come un lungo cammino e, per maturare, come si sa, occorre essere esposti ai raggi del sole e per camminare bisogna mettere un passo dopo l'altro; così il nostro cuore cresce nell'amore quando, da una parte assorbe i raggi dell'amore divino e ne sperimenta la dolcezza e, dall'altra, si sforza di camminare, ossia si sforza di amare, di amare tutti, i belli e i brutti, i simpatici e gli antipatici, quelli che ci fanno del bene e quelli che ci fanno del male. Tutto questo è possibile con il nostro impegno e con la grazia di Dio, non con il solo nostro impegno né con la sola grazia, ma con il concorso dell'uno e dell'altra.

Eugenio Pramotton dal sito http://www.medvan.it/


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